Gorizia in festa per la Professione perpetua di Graziella, Sara e Paolo – 08/12/2024

08/12/2024 – Gorizia, Professione di Graziella, Sara e Paolo nella Fraternità di Gorizia

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Promesse e speranze

Domenica 8 dicembre 2024

È una domenica che ha in sé una promessa di neve mentre esco di casa. E quando prendo posto sullo stesso banco sopra l’altare dove mi sono seduta un anno fa, cominciano a scendere fiocchi di ricordi su questo presente ovattato, quasi irreale.

Proprio come in un film in cui la prima scena diventa lentamente nitida in dissolvenza sullo schermo nero, così la campanella che segna l’inizio della celebrazione eucaristica mi costringe a scendere dal filo dei pensieri e delle emozioni su cui mi ritrova funambola. Fra Marco annuncia con gioia all’assemblea che gremisce i banchi della Chiesa di Santa Maria Assunta, la richiesta di Graziella, Sara e Paolo di essere ammessi a professare la Regola dell’Ordine Francescano Secolare. E, come in un film già visto, accanto a me c’è fra Luigi, assistente della Fraternità di Gorizia.

Tutto è solo un po’ più sfuocato perché gli occhi non sono più buoni.

E, quando finita la proiezione, cominciano a scorrere le foto di gruppo come titoli di coda, Sara mi dice “Ero emozionata quasi come il giorno del mio matrimonio. Ma anche tu lo eri.” Rimango qualche istante in silenzio, quasi a cercare l’emozione giusta: un non so che di meno di quello che speravo, un desiderio di qualche cosa, anzi di molto di più. (Giacomo Leopardi). È stato un autunno di tante foglie cadute, inarrestabile simbolo dell’avvicendarsi delle stagioni e metafora della vita che passa (Paolo Tavano).

La bora che sferza questa seconda domenica d’Avvento, staccherà anche le ultime che ancora provano a rimanere attaccate a quei rami che non riescono più a trattenerle.

Che cosa spinge questi alberi a non lasciarsi precipitare a terra, ad abbandonarsi alla gravità e finalmente trovare riposo al suolo? È l’attesa fiduciosa della primavera che li sostiene, il sogno di ergersi ancora più forti e maestosi con un vestito ancora più stupendo di foglie e fiori che, con il tempo, diverranno frutti. (Paolo Tavano)

Che cosa ha spinto Graziella, Sara e Paolo a voler abbracciare la forma di vita evangelica che si ispira agli esempi e agli insegnamenti di Francesco d’Assisi?

Che cosa ha spinto me, dieci anni fa, a sognare il loro stesso sogno?

Che cosa ha spinto tutti i fratelli e le sorelle di questa città, che fra Marco nella sua omelia un anno prima ha gemellato con Nazaret, ad una promessa perpetua?

Che cosa ha spinto gli stessi fratelli e le stesse sorelle fin qua giunti già un anno fa da Trieste, Gradisca, Cividale a riguardare lo stesso film dove tutto sembra uguale?

La speranza di una vita beata come l’attesa fiduciosa della primavera, gli alberi.

Una speranza che non deluda come quella riposta in un mondo a cui non s’appartiene.

Quella speranza che un virus invisibile ha reso visibile ovunque: “Andrà tutto bene.”

Fu proprio nel cuore di una pandemia che Sara e Paolo, insieme a Barbara, hanno voluto seguire Cristo con il primo “Sì” detto durante il rito di ammissione al noviziato.

Era il 17 novembre 2021. Quella sera, fra Luigi li invitò a completare il puzzle del francescano ideale a cui mancavano proprio le tessere che loro stessi portavano in sé: la generosità di Paolo, l’intraprendenza di Sara, la fermezza di Barbara. Graziella aveva già caricato la gentilezza sulla sua Panda quando decise di raggiungere Gorizia.

Man mano che si completa l’opera, cresce la gioia per qualcosa di bello che prende forma. Ma che ne sarebbe di quel francescano ideale se venisse a mancare un “pezzo”?

Questa mattina, arrivando, ho trovato il grande tavolo azzurro della nostra sede, addobbata a festa, apparecchiato con tovaglie colorate e ogni ben di Dio tra cui uno strudel che Ado mi chiede di tagliare. Cerco il coltello. E Monica. Di solito lo fa lei.

Raffaella mi chiama per le ultime prove prima dell’inizio della Santa Messa. Con la mia copia fra le mani, la seguo in Chiesa insieme a fra Luigi. A lui che come un regista ci dirige, Raffaella che rimane dietro le quinte per gran parte della celebrazione, raccomanda di mettere a fuoco le parole del rito se non riuscissi a farlo da sola.

Francesca, con la chitarra fra le mani, anima la funzione insieme ai baritoni Daniele e Gianmarco; al coro si aggiungono i “nostri”, Ado e Carlotta, e i “muli” triestini: Franco, Alessandra e Flavia. Da qualche parte, in disparte, credo stonasse anche Pizia. Se Francesca imbraccia lo strumento a corde pizzicate, Luciano impugna quello reflex digitale. E, all’album di famiglia, altri fotogrammi di questa giornata verranno aggiunti.

Roberto e Mauro, questa volta, raccolgono le offerte senza offrire rose; solo sorrisi per i 5 lustri a cui brindare per l’oste e il primo lustro da sorseggiare per il sommelier.

Lacrime di presente e futuro impigliate tra le ciglia di Gianna e Mario mentre vivono quei momenti da spettatori immaginando quelli che vivranno da attori. Commozione coniugata al passato per Anna che ricorda il suo momento insieme a Lina e Liviero.

Ci sono proprio tutti! E non ci sono pezzi superflui nell’universo. Ognuno è qui perché ha uno spazio da riempire e ogni pezzo deve inserire sé stesso nel grande puzzle. (Deepak Chopra) Ma Monica, dov’è? Continuo a cercarla anche dopo aver affettato il dolce. Eccola, la vedo! Sta parlando con Magda e Franco che portano una lieta notizia: il 5 dicembre sono diventati nonni di Thomas, fratellino della prima nipote, Aurora.

Un po’ in disparte, vicino ad un uomo in carrozzina, mi sembra di intravedere nella penombra della Chiesa dopo che si sono spente le luci sulla festa, Pina. Mi avvicino. Sì, è proprio lei. E quell’uomo è Mario, visibilmente stanco e provato, ma di nuovo a casa.

Dall’altra parte, Giuseppe e Valentina: il 25 novembre hanno festeggiato il loro primo anniversario di matrimonio. In questo giorno di festa per la famiglia francescana che fa memoria della Patrona e Regina del’Ordine Serafico, hanno lasciato il loro nuovo nido d’amore per ringraziare il Signore per quel “Sì” pronunciato da Graziella, Sara e Paolo, ancora una volta, questa volta per sempre. Insieme a noi, quel noi che non sarebbe lo stesso se mancasse qualcuno. Non sarebbe stato lo stesso, per me, se non ci fosse stata Monica. E non solo perché, come un maestro di corte, sa supervisionare ogni agape che non può mancare proprio come il vino alle nozze di Cana! Non sarebbe stato lo stesso, per me, se vicino a me sull’altare non ci fosse stata Raffaella. E non perché è stata lei a seguire, passo dopo passo, Graziella, Sara e Paolo guidandoli, insieme ad Ado nel tempo iniziale come in quello del noviziato! Non sarebbe stato lo stesso, per me, se insieme a lei non ci fossero stati Ado e Gianmarco con cui sto condividendo l’esperienza del servizio in Consiglio. E non solo perché, insieme a quella che è stata anche la mia formatrice, sono testimoni di Paolo, Graziella e Sara.

Potrei andare avanti ma già mi sembra di sentire “Silvia, quanto è lungo?”

Mi fermo qua custodendo dentro di me tutti i perché e i grazie che non ho detto.

Graziella, nel suo discorso, l’ha già fatto e bene, ringraziando tutti coloro che erano presenti e anche tutti quei fratelli e quelle sorelle che non c’erano ma c’erano. Ed erano davvero tanti, da tutta la regione ed anche oltre fino a Palermo.

Prima di addormentarmi penso a quanti doni ognuno di noi ha lasciato sotto un albero di Natale perenne. Un grembiule, una matita, un po’ d’acqua sono solo gli ultimi.

E mi chiedo se il “per sempre” non ci renda un po’ “pezzi scontati”. E chiudo gli occhi mentre penso a chi vorrei dire “che tu ci sia o non ci sia non è la stessa cosa”.

La mattina dopo, mentre mi preparo per andare al lavoro, mi arriva un whatsapp della mia collega Roberta: “Scrivimi quando arrivi!” Lo faccio. E dopo poco, eccola entrare nel mio ufficio. Mi chiede un post-it e una penna. Comincia a scrivere e intanto mi spiega «Guarda, ho fatto i calcoli: questo è l’anno numero 1, quello della rinascita. Quindi: il 2025 sarà l’anno numero 2, quello del raccolto. Questo significa che il prossimo anno raccoglieremo perché tu hai i miei stessi numeri!» In mezzo c’è tutta una spiegazione che io, ovviamente, non capisco. La guardo, scuoto la testa e le sorrido. «È da ieri che volevo dirtelo! E continuavo ad immaginare: Silvia mi dirà che sono pazza!» Ha indovinato: lo penso e glielo dico ridendo perché mi ricordo con quanta trepidazione leggevo gli oroscopi fino a quando Rob Brzsny non mi predisse che ero nata per fare la papessa. Poi torno seria: no, non penso che sia matta. Penso che come lei, come me…siamo tutti cercatori di felicità. Siamo tutti cercatori di Dio.

E mentre aspettiamo che la vita faccia con noi quello che la primavera fa con i ciliegi (Pablo Neruda), mentre vorremmo sentirci il pezzo mancante per qualcuno, mentre confidiamo nei numeri e negli oroscopi…Dio ci chiama ad essere noi speranza.

Per Heidegger la filosofia non inizia con un concetto puro o con una certezza, ma con una scossa emotiva: «Il pensare dev’essere stato scosso emotivamente prima di lavorare con i concetti o mentre li lavora. Senza un’emozione profonda il pensare non può iniziare. La prima immagine mentale sarebbe la pelle d’oca. La prima cosa che fa pensare e interrogare è l’emozione profonda. La filosofia avviene sempre in uno stato d’animo fondamentale». E qui compare il cuore, che «ospita gli stati d’animo, lavora come “custode dello stato d’animo”. Il “cuore” ascolta in modo non metaforico “la silenziosa voce” dell’essere, lasciandosi temperare e determinare da essa». Al tempo stesso, il cuore rende possibile qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo: si manterrebbero in piedi solo due monadi che si accostano ma non si legano veramente. L’anticuore è una società sempre più dominata dal narcisismo e dall’autoreferenzialità. Alla fine si arriva alla “perdita del desiderio”, perché l’altro scompare dall’orizzonte e ci si chiude nel proprio io, senza capacità di relazioni sane. Di conseguenza, diventiamo incapaci di accogliere Dio. Per ricevere il divino dobbiamo costruire una “casa degli ospiti”. Si diventa sé stessi solo quando si acquista la capacità di riconoscere l’altro, e si incontra con l’altro chi è in grado di riconoscere e accettare la propria identità. (Papa Francesco – Dilexit Nos)

Silvia Scialandrone, Fraternità di Gorizia

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