Festa a Gorizia per la Professione di Graziella, Sara e Paolo – 08/12/2023
Il dono di tre fratelli per la famiglia francescana nella Solennità dell’Immacolata a Gorizia: foto e racconti con sguardi diversi.
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«Tre strade e una via», di Luciano, OFS Gorizia
«Dall’alba al tramonto», di Silvia, OFS Gorizia
«La Professione e la meta», di Paolo, OFS Gorizia
Tre segni per tre fratelli
«Tre strade e una via», di Luciano, OFS Gorizia
Gli occhi di quell’uomo anziano, minuto, vestito di bianco brillano mentre dall’ambone, con voce ferma, proclama: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. Poi, posato il libro della buona notizia, ritorna velocemente al suo posto lasciando che la Ministra della Fraternità inviti i tre candidati a presentarsi ed esprimere la propria volontà.
Graziella, Paolo e Sara salgono sul presbiterio e in coro chiedono di essere ammessi a professare la Regola dell’Ordine Francescano Secolare. Finalmente questo cammino, iniziato circa quattro anni fa, giunge ad un punto di svolta. La preparazione, che li aveva portati a discernere sulla propria vita e su quello che realmente il Signore chiedeva a ciascuno di loro, è giunta al termine, anche se nella realtà dei fatti il cammino non finisce mai e ogni giorno porta con sé un pezzo di strada. Ogniuno di loro, accompagnato dai formatori e dagli assistenti, ha preparato lo zaino e allacciato le scarpe, ed ora è pronto ad iniziare questo entusiasmante viaggio. Anche se le Professioni sono temporanee, niente potrà cancellare quanto è stato già percorso.
La celebrazione continua con l’omelia di fra Marco e successivamente con il rito dell’ammissione all’Ordine. L’emozione che si respira in questi momenti è palpabile e la voce di Graziella ne è la prova. L’assemblea tutta assiste a questo momento in silenzio, assaporando il dono di queste chiamate come il Vangelo letto dal diacono Mario, papà di Sara.
A suggellare queste Professioni di vita evangelica, la Ministra Silvia e i due testimoni, Raffaella e Gianmarco, consegnano ai tre neo professi un Tau di legno d’ulivo ed una pergamena, dono e sigillo di questo promessa.
All’offertorio i tre presentano all’altare i loro doni, segni del loro essere e di ciò che li rappresenta.
Graziella offre il grembiule, segno del servizio, lo stesso grembiule che ogni domenica alla Mensa dei Poveri si cinge ai fianchi.
Sara offre una matita, segno della vita che scorre, una vita che lascia il segno, come ogni giorno nella vita di tanti bambini che l’ascoltano durante le sue lezioni.
Paolo offre dell’acqua, segno della sua limpidezza nell’offrirsi e della semplicità d’animo.
Doni che rivelano quanto questi tre neo professi siano preziosi per la Fraternità e per la comunità che li accoglie.
Che bello, poi, quando, durante l’Eucarestia, frutto dell’amore di Dio e del lavoro dell’uomo, l’aria è piena delle note del Cantico delle Creature, mentre una lunga fila di fedeli, insieme ai fratelli di molte altre Fraternità provenienti dalle province vicine, si appresta a riceverla.
Oggi il diacono Mario, papà di Sara, è papà un po’ di tutti noi quando conclude la celebrazione inviandoci in pace. E la vita continua e con essa questa meravigliosa avventura.
L’8 dicembre 2023 è un giorno speciale nella chiesa di Santa Maria Assunta a Gorizia.
Buon cammino a tutti voi, cari fratelli e sorelle.
Vostro lcn
Luciano Bonavia, OFS Gorizia
«Dall’alba al tramonto», di Silvia, OFS Gorizia
Venerdì 8 dicembre 2023.
La sveglia vibra sotto il cuscino alle 5, nonostante il giorno festivo. Vorrei spegnerla e girarmi dall’altra parte, rannicchiandomi sotto il piumone come se fosse un sacco a pelo. Invece, lentamente, scendo dal letto e apro il rubinetto dell’acqua calda per riempire la vasca mentre sul fuoco metto la moka. Sorseggio il caffè bollente e guardo fuori dalla finestra: il cielo è nero e la città sta ancora dormendo sotto una coperta di brina bianca che i miei occhi riescono a vedere solo perché vi si riflettono le stelle.
Mi immergo tra le bolle di schiuma e il profumo di argan; ho rubato tante ore al sonno nelle ultime notti e queste le regalo a me fino a quando non ho le dita raggrinzite.
Mi avvolgo nell’asciugamano e torno a guardare oltre i vetri appannati: sulla tela blu dell’universo, sfumature di rosa e di rosso, di viola e d’arancio sono solo per chi si sta svegliando prima del mondo. Scatto una foto per regalare quell’alba alla mia Fraternità e scelgo anche la canzone per augurare un giorno meraviglioso come la luce di quel mattino che diventa sempre più chiara fino a render quasi trasparente il cielo azzurro.
Mi preparo per uscire di casa, carico la Ypsilon con vassoi, scatole e pacchetti. Raffaella, qualche ora più tardi, mi dirà che il tratto di strada che devo percorrere per andare in fraternità è lo stesso che lei e Roberto fanno per scendere in cantina. È vero ma io, per arrivarci, devo portare un bel po’ di vita che non mi sta nelle mani!
E, quando entro dal cancello, devo allargar le braccia per poterla ricevere tutta!
Monica sta apparecchiando la lunga tavolata al centro del salone, sempre pronta a buttare una stampella oltre l’ostacolo come Robetti, personaggio del libro “Cuore”.
In Chiesa, prima che la Celebrazione abbia inizio, trovo Graziella, Sara e Paolo. È per loro che, oggi, valeva la pena alzarmi mezz’ora prima di un qualsiasi giorno lavorativo.
Mi fermo ad osservare, dagli scalini del presbiterio, i banchi riempirsi a poco a poco di fratelli e sorelle giunti da Trieste e da Cividale, da Gradisca e da Nova Gorica mentre altri si avvicendano al banchetto dove vengono offerte rose rosse e rose rosa, rose bianche e rose gialle per l’Immacolata, patrono dell’Ordine Francescano.
Prendo posto con il Rito della Promessa di Vita evangelica tra le mani e il ricordo vivido della mia Professione nella mente: allora ero seduta sulla panca ora ancora vuota proprio di fronte a quella da cui vedo una Chiesa dei Cappuccini più gremita del solito.
Il suono della campanella interrompe i pensieri in equilibrio tra passato e presente e, mentre fanno il loro ingresso fra Marco, fra Luigi e il diacono Mario, le emozioni appoggiano prima la punta, poi la pianta, infine il tallone sull’altare: la Messa ha inizio.
Gianmarco intona un canto ed altre voci si aggiungono alla sua riempiendo lo spazio.
Il mio tempo, invece, è rimasto sospeso sul filo invisibile d’un destino che non conosco.
In certi attimi funambolici si può solo rimanere lì, col fiato sospeso, avanzando un istante alla volta: solo così accade il miracolo di una vita che diventa destinazione.
Fra Luigi mi si fa vicino e, con lui a fianco, invito i candidati a presentarsi; Graziella, Sara e Paolo, rivolti ai fedeli, chiedono di essere ammessi a professare la Regola dell’Ordine Francescano Secolare. Al Vangelo, letto dal papà di Sara, segue la bella omelia di fra Marco che immagina Gorizia gemellata con Nazaret. «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» chiese Natanaele a Filippo, 30 anni dopo l’’Annunciazione. E a Gorizia potrà succedere qualcosa di bello? Sì, per chi crede nella fraternità.
Graziella, Sara e Paolo hanno creduto, come Maria. E come Maria è rimasta ferma sotto il peso di un mistero senza confini così, in questa città di confine, l’8 dicembre 2023 Graziella, Sara e Paolo rinnovano le loro promesse battesimali e promettono di vivere nel loro stato secolare il Vangelo di Gesù Cristo con la grazia dello Spirito Santo, l’intercessione della Vergine, di san Francesco e della fraterna comunione.
Accanto a me, con me, ringraziano Dio Raffaella e Gianmarco, testimoni di quel «Sì» ripetuto tre volte, motivo di gioia e speranza per tutti i fratelli e le sorelle presenti.
Insieme a loro mi sposto con delicatezza dalla corda alla terra, scendendo lo scalino che separa la navata centrale dall’altare a cui vengono offerti i doni. Su un tavolino in mezzo alla Chiesa, illuminato dai raggi di sole che entrano dalle vetrate colorate, ho ritrovato il Cielo di qualche ora prima. Il nero della notte nel grembiule di Graziella, segno di servizio ad ogni uomo ed ogni donna e missione della Chiesa universale; il rosso dell’alba nella matita che Sara lascia nelle mani del Signore affinché sia Lui a disegnare il progetto su di lei, l’azzurro del mattino nell’acqua di Paolo, che vuole essere goccia che disseta coloro che hanno sete di un aiuto e sale che, unito all’acqua viva, si trasforma in lacrima di gioia per chi è nella tristezza. Porto un pezzetto di Cielo necessario per congiungere le mani nelle preghiere dei fedeli lette da Ado che, insieme a Raffaella, ha accompagnato Graziella, Sara e Paolo a venire al mondo ed al centro della Chiesa di Santa Maria Assunta per immortalare quel momento in una foto.
Intorno ai professi, si stringono fra Luigi, assistente della Fraternità “Concetta Bertoli” e fra Marco, assistente regionale, le loro famiglie e quella francescana. Lascio vuota anche la panca di legno dietro all’ambone e prendo posto vicino a Paolo e a tutti quei fratelli e quelle sorelle che hanno in sé la profondità del mare e l’altezza della montagna, la lunghezza delle Valli del Natisone e la larghezza del Collio fino a Brda.
E sento che l’unica forza per stare in equilibrio sul filo della vita è il peso dell’amore. (Alessandro D’Avenia).
L’agape ci vede riuniti nel salone dove quattro anni fa, appena prima che scoppiasse la pandemia, hanno festeggiato la professione Mauro e Monica. Con loro hanno iniziato questo cammino Sara e Paolo insieme a Barbara, già mia compagna di viaggio, e Graziella. E per le strade di tutto il mondo s’impegnano ad andare, come Francesco inviava i suoi frati, predicando il Vangelo anche con le parole se fosse necessario.
Ma questo è il tempo di fermarsi attorno ad una lunga tavolata e rigenerarsi nelle relazioni fraterne, ristorarsi con un piatto di pasta caldo e ad un banchetto di cibi succulenti, assaporare un calice di buon vino che allieta il cuore e rallegra la festa, gustare una fetta di torta che si scioglie in bocca come la tensione dentro le vene.
È il tempo, questo, per rabbracciare Mario dopo tanti anni prima che torni a prendersi cura di Valnea, e Lina che, per poche ore, solleva il velo di tristezza dagli occhi scuri e il peso della fatica dalle sue spalle, prima che anch’essa torni a casa da Giovanni.
È il tempo per ritrovare Anna e Liviero che, in questo freddo venerdì dicembrino, si lasciano ritemprare corpo e spirito dal sole, e Carlotta e Daniele che certe notti e tanti giorni si lasciano portare da una macchina sempre calda su strade che ormai non contano più. È il tempo per sentire vicini anche i fratelli lontani, Salvo e Alessandra.
È il tempo per abitare le distanze con chi ha risposto all’invito raggiungendo l’ormai prossima Capitale della cultura europea e scrivendo un altro finale per questa storia: non c’è stato bisogno d’andare ai crocicchi delle strade a chiamare tutti coloro che si sarebbero incontrati lungo la via. E quando è il tempo di rincasare, il cielo è lo stesso che ho contemplato al nascere di questo presente che è quasi ieri sul calendario ma rimarrà un dono, per me e per la fraternità, per sempre e non solo per un tempo.
L’indomani il telefonino non vibra ma, accendendolo, mi sveglia con un album delle foto che Francesca ha scattato e il racconto che Luciano ha scritto mentre io già dormivo.
Davvero, come ben dirà Raffaella, dove non arriva un fratello, arriva una sorella!
Il Vescovo Carlo, che non era in città nel giorno dell’Immacolata, ha ricordato i tre neo professi in una Messa da lui celebrata augurando loro un buon cammino e complimentandosi per le belle ed emozionanti foto ed un articolo che fa davvero partecipare alla festa. E, raccomandandoci di diffondere lo spirito francescano, vuole sapere se per il prossimo anno sono previste nuove professioni; no, gli rispondo, ma abbiamo quattro speranze. Si chiamano Matteo, Gianna, Mario e Silvano.
Il francescano ideale è bellezza sempre incompiuta.
E la fraternità è l’Itaca da ri-conquistare ogni giorno.
Itaca è tutta già fatta nel cuore, ma è ancora tutta da fare nella realtà (Alessandro D’Avenia)
Silvia Scialandrone, OFS Gorizia
«La Professione e la meta», di Paolo, OFS Gorizia
Solo forse pochi “adepti” sono a conoscenza che durante gli scorsi mesi di settembre ed ottobre si è svolto il Campionato mondiale di Rugby in quel paese che può essere considerato la seconda patria di Francesco, ovvero la Francia. Al recente festival francescano di Bologna il venerdì, ritornando in appartamento dopo aver assistito ad una conferenza, ricevetti un wa di un mio collega che mi ricordava che si stava disputando una bella partita del predetto sport e così una volta rientrato mi sono visto la coda del match, ovvero gli ultimi 10 minuti di tale incontro. In tale frangente ho avuto una sorta di illuminazione, un po’ come successe, con le debite proporzioni, sulla via di Damasco al Santo di cui porto il nome. Dovete sapere che nel rugby c’è una regola che è il “vantaggio” che consente in casi particolari alla squadra che ne beneficia di poter provare le più ardite azioni di gioco in quanto consapevole che anche se non dovessero avere successo, la predetta squadra avrebbe comunque la possibilità di ripartire dal punto dal quale l’arbitro aveva sanzionato l’infrazione contro la squadra avversaria: in pratica non c’è nulla da perdere e tutto da guadagnare. Ecco: mi si è accesa la luce perché mi sono ricordato dell’episodio di San Paolo e di Sant’Agostino che disse “Ama e fai ciò che vuoi” è ho pensato che se uno è in Cristo può giocare sempre con il vantaggio, potendo osare tutto nel bene, perché sa che mal che vada ci sarà sempre Gesù che gli copre le spalle e lo sostiene facendolo eventualmente e nuovamente partire da una posizione di vantaggio.
Alcuni giorni fa a Lucinico, ho rivisto con piacere Mario e Valnea e sono tornato con la mente a quella primavera del 2019 quando vi fu un virtuale passaggio di testimone tra me che iniziavo a muovere i primi passi sulle orme di Francesco e loro che decisero di concludere la partecipazione attiva alla vita della Fraternità. Nel frattempo di acqua sotto i ponti ne è passata e su di essa ho navigato fino alla recente Professione in occasione della ricorrenza dell’Immacolata. Il termine professione viene dal latino professus cioè propriamente “che ha dichiarato apertamente”, cosa che ho fatto unitamente a Graziella e Sara in tale Solennità.
Appena entrato in Fraternità la Professione era da me vagheggiata e “meta” ed obiettivo che avrei voluto raggiungere in un lasso di tempo più breve possibile, come a scuola quando bramavo di passare celermente dalle elementari alle medie e quindi alle superiori. Scherzosamente, ma neanche troppo, ogni occasione in cui riuscivo a “combinare” qualcosa di buono era un’opportunità per invocare e sollecitare un’abbreviazione e un ravvicinamento della data della mia Professione. Ma poi, man mano che proseguivo il cammino insieme alle sorelle ed ai fratelli tale “arsura” per compiere questo grande passo si affievoliva per far posto alla consapevolezza di quanto avrebbe comportato. È in qualche modo riconducibile a quanto avviene a colui che si cimenta nello studio di una materia o nell’esercizio di un’attività: all’inizio destreggiando poche nozioni si ha l’illusione di aver già imparato tutto, poi, addentrandosi nel dedalo delle conoscenze e competenze richieste, si diviene consapevoli di quanta parte è ancora sconosciuta. È come se gli orizzonti dapprima limitati divenissero progressivamente sconfinati al pari di un escursionista che partendo dalla pianura, passo dopo passo nell’ascensione, coglie continuamente nuovi particolari e scorge nuove vedute. Anche il lavoro da fare su me stesso era importante: come uno scultore dovevo smussare degli spigoli, incavare qualche parte grossolana e togliere le asperità da tutta la superficie.
Alla fine o meglio, all’imbocco di questo nuovo sentiero, è stata una gioia grande poter “giubilare” insieme, in spirito francescano, alle sorelle ed ai fratelli della Fraternità con i quali abbiamo camminato in questo periodo ed è stato un bellissimo segno scorgere ed incontrare molti volti appartenenti alle altre Fraternità della Regione e della vicina Nova Gorica. Se devo essere sincero non riesco tuttora ad avere piena consapevolezza di aver fatto la Professione, forse perché la percepivo come una meta lontanissima, come quando nelle mie camminate scorgevo un lontano monte che volevo raggiungere…sembrava impossibile. Poi passo dopo passo, in maniera quasi impercettibile ciò che prima era indistinto prendeva forma e nitidezza e alla fine col sudore della fronte e la stanchezza degli arti il traguardo si faceva prossimo. In questo caso il cammino non finisce mai, come un corso d’acqua che continua a donare vita alle terre che attraversa. Riemergono nella mia memoria con dolcezza il ricordo del pellegrinaggio fatto da bambino con mia mamma nei luoghi cari a Francesco e con orgoglio venato di umiltà della bonaria canzonatura di mio papà “Sei peggio di San Francesco!” quando per la mia sensibilità verso gli animali salvavo qualche esserino da una brutta fine. Ma ho imparato, o meglio mi sono ricordato, che Gesù ha detto che “se non ritornerete come bambini non entrerete nel regno dei Cieli”. Il bambino ha bisogno di qualcuno che lo guidi, che gli insegni le cose, che lo tenga lontano dai pericoli, che lo faccia crescere sano e forte e circondato d’amore. Ecco, nei fratelli e sorelle ho trovato anche questo ma soprattutto lo chiedo e continuerò a chiedere al buon Pastore per essere piccolo tralcio innestato nella vite che è Gesù. Anche Francesco è rimasto bambino, i suoi occhi capaci di stupirsi come e forse ancor più di un bambino, l’amore che gli incendiava il cuore per Colui che si è fatto bambino inerme e, come naturale riverbero, nei confronti di tutte le creature perché immagine riflessa del Creatore.
C’è un elemento che ricorre spesso nei miei pensieri ed è sovente presente nelle metafore di questo frangente della mia vita ed è l’acqua, non a caso il segno che ho voluto portare nella mia Professione. Elemento vitale per l’esistenza: dove scorre sgorga la vita, dove è assente regna il deserto. Così mi vedo a scavare a mani nude un terreno sabbioso e sassoso in cerca dell’acqua che si faccia parola e pensiero da trasmettere – ma che necessita di essere ancora sedimentata, – di questa Professione e del percorso che mi ha condotto fino ad essa. Percorrendo la Regola ho ammirato scorci spaventosamente affascinanti al di sopra di pareti rocciose e lisce come il marmo. Come raggiungere tali tesori mi scoprivo a chiedermi tra il soggiogato ed il perplesso…E mi rispondevo che sarebbe stato impossibile anche al più abile scalatore. Poi una vocina mi ricordava che “Nulla è impossibile a Dio” e che se gli avessi chiesto un aiuto non me lo avrebbe certo negato. La Professione la sento gioiosamente come una grande responsabilità probabilmente, anzi certamente, troppo gravosa per le mie deboli spalle, ma sono consapevole che se mi affido a Lui e cammino con i fratelli e le sorelle nulla è precluso. In fondo Gesù ha sottolineato che Egli non è venuto per i sani bensì per i malati e quindi per tutti noi piccoli o grandi sofferenti di questa Terra. Si dice che dal frutto si riconosce l’albero, ma ad ogni frutto per maturare serve il sole dell’amore. Se non viene riscaldato ed illuminato rimane acerbo, al pari del sale insipido e del lume che non rischiara. “L’amor che move il sole e l’altre stelle” come pennellava Dante nella Divina Commedia! Il vero big bang è stato l’anelito di amore infinito di Dio ed il tessuto connettivo dell’universo, la cosiddetta “materia oscura” del cosmo è ancora l’amore che tutto sostiene e fa esistere.
Francesco, l’innamorato per antonomasia, in tutti gli istanti rimarca che l’amore non può essere centellinato, non può essere somministrato con il contagocce. Tale concetto mi fa venire alla mente, in antitesi, la canzone Wonderwall degli Oasis quando cantano “il fuoco nel tuo cuore è estinto” (The fire in your heart is out).
Con una certa dose di timore e di bramosia mi dico che vorrei sperimentare anch’io l’amore sconfinato di Francesco quello che cantava in modo sublime nel Cantico delle Creature, specchio di quel Creatore dispensatore di amore infinito che però, e non di rado, viene tradito, ignorato e non corrisposto neppure minimamente e che faceva esclamare a Francesco “L’Amore non è amato!”.
La meta nel rugby non è frutto di un’azione isolata ma richiede l’impegno di tutta la squadra, ognuno con i suoi talenti. Alla fine la meta è di un solo giocatore, ma il merito è collettivo e di ognuno che porta in dote il suo sforzo. Un altro aspetto particolare di questo sport è la posizione occupata dall’allenatore: non a bordo campo come quasi in tutti gli altri sport di squadra, bensì dall’alto per avere una visuale più chiara e poter così dirigere i propri giocatori e poterli guidare al meglio.
Anch’io chiedo al grande Allenatore che si trova ancora più in alto di dirigermi e indicarmi il gioco migliore per me e consigli ed aiuti perché le azioni siano fruttuose anche per la grande squadra a cui appartengo. So che dovrò affrontare placcaggi duri e dolorosi, che gli avversari non faranno sconti ma se avrò fede nei compagni e soprattutto nell’Allenatore la meta arriverà perché, come ha detto Francesco “Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto”.
Paolo Tavano, OFS Gorizia
Tre segni per tre fratelli
Segno di Graziella
Ti offro Signore questo grembiule per ricordarmi di essere grembiule, di indossare il grembiule del servizio ai fratelli e alle sorelle come fece Gesù nell’ultima cena, missione propria della Chiesa, di ogni comunità, delle fraternità OFS, e di ogni credente.
Segno di Paolo
Ti offro Signore quest’acqua per ricordarmi di dissetare coloro che hanno sete di un aiuto. Per essere umile come l’acqua che lava ciò con cui viene in contatto e poi filtrando nell’humus si rigenera e torna cristallina. Per essere sale che con l’acqua diventa una lacrima di gioia per chi è nella tristezza. Per non scordare mai che Tu solo sei l’acqua viva.
Segno di Sara
Con una matita si può scrivere e disegnare, la offro come segno per ricordarmi di lasciare alle mani di Dio il progetto della mia vita per metterla poi al servizio delle persone. Mi ricorderà di seguire la sua volontà.
Fraternità Regionale del Friuli-Venezia Giulia “Beato Odorico da Pordenone” 2023 – © RIPRODUZIONE RISERVATA