San Francesco uomo sinodale
Tutta la Chiesa e in particolare la Chiesa italiana, su invito di papa Francesco, è chiamata a
vivere a partire da quest’anno un cammino sinodale. Sinodo significa “camminare insieme”. Un
cammino verso una meta comune che non può che essere il Regno di Dio. Un cammino in cui non
solo si procede insieme, ma si cerca uniti la strada giusta che può condurre alla meta. Un cammino
in cui ci si accoglie a vicenda, ci si ascolta, ci si aspetta, ci si sostiene gli uni con gli altri soprattutto
nei momenti di fatica e di difficoltà.
Mi sono domandato: san Francesco ci può assistere in questo nostro cammino sinodale, lui
che è patrono d’Italia? Può aiutare la nostra Chiesa a trovare quella freschezza evangelica, quel
profumo di santità, quella spinta missionaria, quella capacità di attrazione cui continuamente papa
Francesco ci richiama?
Nella vita di san Francesco ci sono stati diversi momenti che oggi potremmo definire
“sinodali”, vere e proprie esperienze di comunione, in particolare i capitoli, dove venivano
chiamati a partecipare tutti i frati. Il più famoso è quello chiamato delle stuoie (così definito
perché i frati erano così tanti da non avere per dormire che delle stuoie). Vorrei riprendere alcuni
passaggi della sua descrizione così come ci viene presentata dalle fonti francescane, in particolare
nei cosiddetti fioretti di san Francesco, che parlano anche della presenza di san Domenico (ma
c’era comunque anche sant’Antonio). Vi leggo un passo dei fioretti:
«Il fedele servo di Cristo santo Francesco tenne una volta un Capitolo generale a Santa
Maria degli Agnoli, al quale Capitolo si raunò oltre a cinquemila frati; e vennevi santo Domenico,
capo e fondamento dell’Ordine de’ frati Predicatori; il quale allora andava di Borgogna a Roma, e
udendo la congregazione del Capitolo che santo Francesco facea in nel piano di Santa Maria degli
Agnoli, sì lo andò a vedere con sette frati dell’Ordine suo.
Fu ancora al detto Capitolo uno Cardinale divotissimo di santo Francesco, al quale egli avea
profetato ch’egli dovea essere Papa, e così fu; il quale Cardinale era venuto istudiosamente da
Perugia, dov’era la corte, ad Ascesi; e ogni dì veniva a vedere santo Francesco e ’suoi frati, e alcuna
volta cantava la messa, alcuna volta faceva il sermone a’frati in Capitolo; e prendea il detto
Cardinale grandissimo diletto e divozione, quando venia a visitare quel santo collegio.
E veggendo sedere in quella pianura intorno a Santa Maria i frati a schiera a schiera, qui
quaranta, ove cento, dove ottanta insieme, tutti occupati nel ragionare di Dio, in orazioni, in
lagrime, in esercizi di carità; e stavano con tanto silenzio e con tanta modestia, che ivi non si sentia
uno romore, nessuno stropiccìo, e maravigliandosi di tanta moltitudine in uno così ordinata, con
lagrime e con grande divozione diceva: «Veramente questo si è il campo e lo esercito de’cavalieri di
Dio!».
Non si udiva in tanta moltitudine niuno parlare favole o bugie, ma dovunque si raunava
ischiera di frati, o elli oravano, o eglino diceano ufficio, o piagneano i peccati loro o dei loro
benefattori, o e’ragionavano della salute delle anime» (FF 1848).
Fin qui la citazione. Mi sembra molto significativa la descrizione di ciò che facevano insieme
i frati, che potrebbe essere un’indicazione molto preziosa anche per la nostra partecipazione
diocesana al cammino sinodale della Chiesa
Anzitutto si dice che “oravano”, cioè pregavano. Il primo posto nella vita della Chiesa non
può che essere di Dio. Anche il confrontarsi insieme sulle strade da intraprendere non può che
partire dall’invocazione dello Spirito Santo e dall’ascolto della Parola di Dio. Più volte papa
Francesco ha ricordato che qualunque esperienza sinodale nella Chiesa non può essere
paragonata a un parlamento, né funziona sulla base dei voti democratici. È invece un’esperienza
spirituale, dove il libero confronto è autentico e può arrivare a precise scelte solo se guidata dallo
Spirito Santo. Un’esperienza che esige silenzio e di non parlare di favole o di bugie (Non si udiva in
tanta moltitudine niuno parlare favole o bugie): oggi potremmo dire di non lasciarsi affascinare
dalle fake news e distrarre dai social.
Si dice poi che i frati erano “occupati nel ragionare di Dio” o anche nel “ragionare della
salute delle anime”. Ragionare di Dio non significa tanto la riflessione teologica su Dio – che pure ci
vuole ed è importante nella Chiesa -, ma il confrontarsi su ciò che sta a cuore a Dio, sul suo disegno
di salvezza, sul suo progetto d’amore. Questo deve stare a cuore alla Chiesa, a ogni comunità
cristiana. Ma che cosa ci sta a cuore? È ciò che sta a cuore a Dio? Cioè il suo Regno, il suo
proposito di salvezza, di grazia e di amore? Ragionare delle cose di Dio: ecco ciò che conta.
Andando anche nelle scelte concrete e nella quotidianità della nostra vita. Colpisce il fatto che nei
Vangeli Gesù parli del Regno di Dio, in particolare nelle parabole, partendo sempre dall’esperienza
della vita di ogni giorno fatta di relazioni, di lavoro, di cibo, di gioie e di tristezze.
Un’altra attività dei frati con Francesco è il pianto sui peccati: “piagneano i peccati loro o
dei loro benefattori”. Può sembrare qualcosa di lontano dalla nostra sensibilità, ma è importante.
Piangere i peccati non significa non avere fiducia nel perdono di Dio, né tanto meno piangere per i
castighi di Dio. Quanto piuttosto acquisire la consapevolezza che si sono fatte scelte sbagliate per
noi stessi, che si è tradita anzitutto non una la legge astratta di Dio, ma la nostra stessa natura di
figli. Si tratta in realtà del pianto di un figlio che ritorna alla casa paterna e che mescola le sue
lacrime con quelle di amore e di tenerezza del padre e per questo diventa un pianto di liberazione
e di un amore ritrovato. Ed è bello piangere anche insieme per i nostri peccati collettivi, di cui non
abbiamo la consapevolezza di una responsabilità individuale, ma che sentiamo come nostri:
quando affonda una barca nel mediterraneo, quando tanti bambini nel mondo muoiono ancora di
fame, quando in molti paesi c’è la guerra e lo sfruttamento … certo non è colpa di ciascuno di noi,
ma è comunque un peccato collettivo di cui tutti partecipiamo.
Infine il testo delle fonti francescane ricorda un altro atteggiamento dei frati: dice che
erano occupati “in esercizi di carità”. Vivere la carità, vivere l’amore: è ciò che alla fine conta.
Viverlo all’interno della Chiesa, mentre sinodalmente si cerca la volontà di Dio. Viverlo dentro la
comunità soprattutto a favore dei più fragili, dei più piccoli, dei poveri. Viverlo fuori dei confini
visibili della Chiesa verso tutti, perché, lo ricorda sempre papa Francesco in una sua enciclica che
riprende una frase di san Francesco, tutti siamo fratelli.
Sono sicuro che avete notato come, diversamente dal mio solito, non ho ripreso i brani
della Scrittura che la liturgia oggi ci offre. Ma sono convinto che la Parola di Dio è presente in molti
luoghi, anche nella esperienza dei Santi e di chi ha condiviso con loro l’avventura cristiana. Anche
di Francesco e dei suoi frati riuniti in capitolo, testimoni per noi di come si può essere realmente
Chiesa sinodale.
Mons. Carlo Roberto Maria Redaelli Arcivescovo di Gorizia
4 ottobre 2021 San Francesco d’Assisi