18 aprile 2020 fra Aurelio nasce in Cielo
“Aurelio, frate e amico”, di Carlotta
“18 aprile 2020 fra Aurelio nasce in Cielo”, di Silvia
“Oh Capitano, mio Capitano!”, di Luciano
“Un vulcano d’amore per Dio”, di Vincenzo
“Pace e bene a cuore pieno…”, da fra Aurelio
Aurelio, frate e amico
Padre Aurelio Blasotti ci ha lasciati nella mattinata del sabato della Festa della Misericordia, il 18 aprile. Due giorni prima la notizia dell’uscita dalla terapia intensiva ci aveva donato la speranza di riaverlo presto tra noi, nel confessionale della chiesa dei Cappuccini a Gorizia, pronto ad accogliere chiunque con il suo sorriso dolce e gli occhi allegri come a dire: sono felice che tu sia qui con me, puoi aprire il tuo cuore!
Negli anni, con semplicità, Aurelio mi ha narrato piccole porzioni della sua vita ed ora mi rendo conto di essere anch’io depositaria di questa storia che ha il sapore dei tempi andati, ma anche la freschezza della verità.
Aurelio nasce a Gemona del Friuli il 17 giugno 1948, nella frazione di Campo Lessi, da papà Lorenzo e mamma Maria. A causa dell’estrema povertà e della malattia del padre, lascia presto la famiglia per essere accolto nel preventorio di Carraria, frazione di Cividale del Friuli, ai piedi della salita per il santuario di Castelmonte. Qui frequenta le scuole elementari, riceve la prima comunione e la Cresima. Il seme della vocazione cappuccina è deposto in quegli anni, con la frequentazione del Santuario e l’incontro con i frati. Ad allora risale anche la nascita di una devozione mariana di rara profondità e bellezza che si rafforzerà negli anni. Al rientro a Gemona sentirà presto il richiamo del seminario minore di Thiene, dove viene accolto nel 1959. Qui frequenta le scuole medie, poi nel 1964 inizia il noviziato a Bassano, con il nuovo nome di frate Anselmo da Campo Lessi di Gemona arrivando alla professione temporanea nel 1965. Sono gli anni agitati ed entusiasmanti del Concilio Vaticano secondo, dopo i quali si chiude inevitabilmente un’era per gli ordini religiosi e se ne apre una nuova. Ho sentito più volte Aurelio definirsi un frate a cavallo di due mondi, ed è vero: questa esperienza lo ha reso più saggio e curioso, capace di dialogare con tutti, giovani ed anziani, ma anche di aprirsi al nuovo. Dopo gli studi a Venezia arriva alla professione solenne nel 1971 a Castelmonte, e nel 1973 il Sacerdozio a Campo Lessi apre per lui la grande stagione dell’apostolato a tutto campo: gioioso direttore del seminario serafico, studente e predicatore. Nel maggio del 1976 si trova a Udine dove vive la tragedia del terremoto, che ha l’epicentro proprio a Gemona, suo paese natale. Ricordo ancora il suo racconto della corsa con ogni mezzo verso il centro della tragedia, come in una via dolorosa, occasione di incontro con familiari, uomini, donne in fuga e sotto shock, operatori dei soccorsi e tristi convogli di ritorno dalle macerie. Aurelio tutto accoglie e trasforma in bene, partecipando attivamente alla ricostruzione, coordinando i gruppi della Gioventù Francescana (GiFra) che da tutta Italia accorrono per essere d’aiuto. Sono momenti cruciali in cui Aurelio, anche se provato, si dona con amore stringendo amicizie che rimarranno per sempre. Negli anni successivi termina gli studi a Roma, ottenendo nel 1980 la Licenza in teologia morale presso l’Alfonsiana. Nel frattempo, è cooperatore nella parrocchia “S. Fedele” nel quartiere Pietralata. Anche in questo ambiente Aurelio è vicino alla gente, che ricambia il suo affetto. Svolge anche il servizio di assistente ecclesiastico negli Scout, occupandosi in particolare dei lupetti. Nel settembre 1980 viene destinato alla “sua” Castelmonte, iniziando un lungo periodo di 19 anni di permanenza. Per 14 anni è direttore del Bollettino, sul quale scriverà articoli per oltre 30 anni; 9 anni sarà impegnato come vicario, 3 come guardiano e rettore. Inizia anche la sua opera di predicatore di ritiri, tridui, missioni popolari, tra i frati e per le religiose, sempre con un occhio di riguardo per la sua terra, il Friuli. Sono gli anni in cui diviene giornalista a tutti gli effetti: la sua penna è agile, lo stile semplice e incisivo, com’è del resto la sua predicazione. Curerà per anni anche la rubrica della posta sul Portavoce di San Leopoldo; le risposte alle lettere, anche le più graffianti, sono sempre argute e documentate.
Nel 1999 è presente ad Asolo come guardiano del convento. Qui assume anche il servizio di assistente locale della Fraternità dell’Ordine Francescano Secolare (OFS); da allora la vita di fra Aurelio si intreccia con quelle dei laici francescani.
Dopo una breve ma impegnativa parentesi a Pordenone, fra Aurelio arriva a Gorizia nel 2005, dove sarà vicario per più trienni nella fraternità fratesca, confessore molto ricercato, e anche Assistente della locale Fraternità OFS “ven. Concetta Bertoli”, nonché Assistente regionale OFS. Questo incarico lo porta ad avere contatti frequenti con i laici francescani di tutto il Friuli-Venezia Giulia; formazione, ascolto, vicinanza sono i doni che con il sorriso e la fermezza ha elargito a piene mani. Al servizio sul campo a favore dell’OFS si affianca anche quello particolarissimo di vicepostulatore della causa di beatificazione della venerabile Concetta Bertoli, francescana secolare di Mereto di Tomba (UD), e più tardi anche di quella del frate Arcangelo da Rivai. L’impegno nella causa di Concetta lo vede promotore di eventi particolarmente creativi, e il legame spirituale con la venerabile lo porta a scriverne una appassionata biografia nel 2008 intitolata “Crocifissa per amore” (Ed. Messaggero). Sente molta affinità con questa donna friulana, dai natali poverissimi, fin da giovane costretta a letto da una malattia che progressivamente la porterà alla paralisi totale e infine alla morte. Negli anni trascorsi a Gorizia la salute di Aurelio si compromette ed egli trova proprio in Concetta una compagna di viaggio portatrice di un messaggio potente capace di dare senso alla sofferenza fisica. Fino ai suoi ultimi giorni il pensiero e le energie di Aurelio saranno dedicati alla causa di Concetta.
Il 23 marzo la salute cagionevole del nostro Aurelio lascia scoperta una breccia all’aggressione del Covid-19, per cui viene ricoverato d’urgenza in terapia intensiva a Gorizia. Dopo due settimane di situazione grave, sembra che il peggio sia passato e viene trasferito al reparto di terapia semi-intensiva di Palmanova, ma i progetti del Padre su di lui sono altri. Aurelio vive appieno la Pasqua del Signore sabato mattina.
Mi sia consentito un ricordo personale di quest’uomo buono e gentile, con il quale per anni ho condiviso, oltre a chilometri di strada, gioie, dolori, fatiche e consolazioni a servizio dell’OFS del Friuli-Venezia Giulia. Sono stati momenti intensi in cui ho avuto accanto un fratello sincero e leale, pronto nel sostegno reciproco e capace di fiera parresia. Ringrazio e lodo il Signore per averlo donato alle nostre vite, prego intensamente affinché il suo esempio sia un richiamo per i nostri figli per vivere al massimo, come fra Aurelio ha saputo fare.
Carlotta Fonda, Fraternità OFS “Concetta Bertoli” – Gorizia
18 aprile 2020 fra Aurelio nasce in Cielo
Il Friuli Venezia Giulia venne sconvolto profondamente nel 1940 e colpito duramente durante la Seconda Guerra Mondiale. Del Covid-19 si è detto che è la più grande sfida, per l’Europa e il Mondo intero, da quando cessarono le ostilità tra tutti quei Paesi.
Ma in questo Friuli, già gravemente ferito dalle armi da fuoco, prima che un virus subdolo arrivasse a portare ancora morte, con la sua corona, è passato, con la sua forza distruttiva, anche Orco, nel 1976, un violento sisma che ebbe l’epicentro vicino Gemona. Lì, il 17 giugno 1948, nacque Aurelio Blasotti. Il Signore, quando lo ha pensato, ha colorato i suoi occhi intingendo il pennello nel manto di Maria, di cui è stato sempre figlio devoto. Quando, poi, lo ha scelto, ha voluto per lui una tunica dello stesso colore dei suoi capelli: era solo un ragazzo, quando, il 19 settembre 1965, Aurelio ha detto “Sì” rispondendo alla chiamata del Signore che lo ha voluto frate cappuccino. Nel 2005, arrivò a Gorizia con l’incarico di assistente regionale dell’OFS nonché locale nella sua prima Fraternità Francescana Secolare che desiderava intitolare alla venerabile Concetta Bertoli. Desiderio condiviso dalla maggioranza della fraternità che, in lei, ha ancora oggi la sua protettrice.
I suoi capelli più radi ma ancora ondulati e la sua barba corta e curata avevano preso il colore della corda con cui legava il saio.
La sofferenza fisica è stata sua fedele compagna nel cammino della vita, come lo fu per la Crocifissa di Mereto di Tomba, per la cui causa di beatificazione padre Aurelio ha instancabilmente operato per tutta la vita.
A Castelmonte, nel lungo periodo giovanile, è stato promotore di moltissimi lavori di miglioramento in favore dei pellegrini, con particolare attenzione ai disabili, con la realizzazione di un ascensore che dava loro la possibilità di raggiungere il Santuario.
A Gorizia, la fraternità consacrata e quella laica erano il senso della sua vita terrena che, con l’aggravarsi delle sue condizioni, gli sfuggiva, inesorabilmente, sempre più.
Ma, nonostante la malattia e la fatica, insieme alle due Fraternità secolari di Gorizia e Nova Gorica, unite nella gioia ieri e nel dolore oggi, è stato costruttore di ponti testimoniando concretamente che l’amore del Signore non conosce limiti né confini.
Come Concetta, nella sua immensa sofferenza fu esempio di incrollabile fede in quel Signore di cui parlava, con grande ardore, durante ogni celebrazione eucaristica da lui sempre preparata con semplicità e minuziosità.
Davanti a chiunque varcasse la soglia del suo Confessionale, si spogliava del saio della santità con cui l’immaginario veste i sacerdoti e mostrava la sua carne e il suo cuore di uomo peccatore e fragile che urla al Signore: “Misericordia!”. E, usando verso tutti la stessa misericordia ricevuta da Dio, diveniva l’artefice dell’incontro di ogni uomo ed ogni donna con il Cristo risorto. Quanti spiriti afflitti e contriti sono entrati nella Chiesa di Santa Maria Assunta e, in padre Aurelio hanno trovato non un giudice severo ma un uomo mite, umile, accogliente che sapeva trasformare la tristezza in gioia? Quante persone, incontrando quel frate che, con il suo sorriso bonario, sapeva trasmettere la bontà della Parola, hanno conosciuto l’amore di Dio, nella Sua casa?
Sabato 18 aprile, vigilia dell’Ottava di Pasqua, il Capitano della barca su cui ci ritroviamo tutti, fragili e disorientati, è venuto a prendere padre Aurelio, l’ultimo frate cappuccino friulano, il frate della Misericordia, per portarlo all’altra riva.
Se n’è andato in solitudine, lui che aveva il dono della profezia per la moltitudine.
Se n’è andato in silenzio, lui che predicava il Vangelo e aveva il dono della scrittura.
Se n’è andato, cidìne cidìne, mentre il grido del miracolo stava per alzarsi al Cielo.
Buon viaggio, padre Aurelio, buon ritorno alla Casa del Padre, alla Casa della Madre.
Silvia Scialandrone, Fraternità OFS “Concetta Bertoli” – Gorizia
“Oh Capitano, mio Capitano!”
“Oh Capitano, mio Capitano!”. Ultimamente qualcuno aveva iniziato a chiamarlo così, il nostro caro fra Aurelio. Già, il nostro caro Aurelio ci ha lasciati. Abbiamo appreso della sua salita al Cielo in un momento in cui tutti speravamo che il peggio fosse passato. Ed evidentemente, secondo il disegno dei “piani alti”, era effettivamente così. È salito al Cielo in un giorno di primavera in un letto d’ospedale.
Non mi dilungherò a narrare della vita dell’amico frate, in molti ci hanno già pensato. Abbiamo avuto molti momenti belli vissuti assieme, nei momenti importanti della nostra vita lui era lì. Sarebbe inutile cercare di spiegare a parole il vuoto lasciato e raccontare quello spazio dove poche persone hanno il privilegio di avere un posto. Piuttosto, come accade in questi momenti, cercherò di mettere un po’ in fila la selva di pensieri che mi si aggrovigliano in testa assieme ai ricordi.
Il primo giorno che ho incontrato fra Aurelio era il mio secondo giorno in Fraternità, era un momento di preghiera e lui, vedendomi per la prima volta, mi domanda: ”Chi sei?”. Così a bruciapelo, con la sua semplicità e schiettezza che poi negli anni ho imparato a conoscere e ad apprezzare. La risposta, altrettanto secca, fu: “Un pellegrino!”.
Già, un pellegrino! Un pellegrino su questa terra. L’andare su questa terra, andare, giorno dopo giorno. Anche quando vorresti restar fermo, anche quando il cammino è troppo duro. Mi vengono in mente quelle giornate in cui camminare è talmente duro che ad ogni passo sembra di prendere una bastonata sulle gambe, lo zaino ti schiaccia e ti sega le spalle e in cuor tuo pensi: non ce la faccio più, mi fermo. Sconforto, fatica e dolore sono gli unici compagni. Solo un pensiero: non ce la faccio più, mi fermo. Come i discepoli di Emmaus (tanto cari e sentiti spesso così vicini), col passo pesante come il cuore: entrati a Gerusalemme con Gesù acclamato come una rockstar, pensavano fosse giunto il loro momento di gloria ed invece ne sono usciti come cani bastonati. Tutto è perduto. Tutto è finito. Avevano sperato e invece tutto è finito, finito male. Non resta che tornarsene a casa. Il cammino è finito. Alle volte mi viene da pensare così, il disegno in cui mi trovo non riesco a capirlo perché il dolore non me lo fa vedere, la mia logica non mi permette di vedere oltre. Mi sento come in quelle giornate in cui il cammino è troppo duro e tutta la mia spavalderia si squaglia come neve sotto un sole troppo caldo. Poi arriva la sera, tutto si ferma. Arriva il silenzio e per compagno solo il battito del proprio cuore e un mare di pensieri in tempesta che mi sbattono come una barchetta in mezzo al mare. I ricordi dei giorni belli bussano e ripenso a quanto avrei voluto fermarmi. Fermarmi, fermarmi per godere un po’ più a lungo di quei momenti dolci: “è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende!”. Il disegno è troppo grande. Poi le prime luci dell’alba e la speranza un po’ riappare, timida, sfuggente. E il destino del pellegrino si riaffaccia: proseguire, anche solo per pochi chilometri. Perché su questa terra non si può stare fermi, anche se alle volte lo vorremmo tanto. Fermarsi è cadere nell’oblio.
Ora il tutto ricade in un momento particolarmente difficile. Il distanziamento sociale necessario in questi giorni non ci dà il conforto di un abbraccio, di uno sguardo per capire che almeno su questa barchetta non siamo soli. Avere il conforto che, stringendoci gli uni agli altri, almeno un po’ di calore per scaldare questo cuore affranto possa arrivare. Ma viviamo tempi strani, sospesi. In questo mare in tempesta di pensieri e ricordi tenere saldo il timone è difficile, specie senza “il capitano”. Ma il pellegrino non si può fermare anche quando è l’unica cosa che vorrebbe. E quindi il pensiero si allarga per cercare di abbracciare una parte di disegno più ampio, quella parte di disegno che siamo chiamati a mettere in pratica. Questo momento così strano che sembrava così lontano, portato nelle nostre case dai notiziari. Sembrava di vivere in un film, fino a quando la realtà ha bussato alla nostra porta e ci siamo accorti che è tutto vero. Tutto terribilmente vero e doloroso. Ed ecco di nuovo il desiderio di fermarsi. Fermarsi per farsi cullare nei ricordi, sempre un po’ migliori di quello che erano realmente, di un mondo che non c’è più. Ma è proprio ora, in questo momento così difficile, che abbiamo l’occasione di allungare il passo e cambiare un po’ questo mondo.
È il momento di dividere i pani ed i pesci, il momento non di chiudersi a riccio, come qualcuno vorrebbe, (spuntano nazionalismi e divisioni da tutte le parti), ma di condividere, collaborare, unirsi e lavorare assieme. Mettere insieme tutto il pane ed i pesci e ridistribuirli. Mettersi in cammino, perché se è vero che ora il cammino è più duro, segnato da tanto dolore e lutto, è anche vero che in questi momenti avvengono i cambiamenti più importanti.
Grazie fra Aurelio che per lungo tempo ci hai accompagnato, abbiamo apprezzato il tuo essere uomo tra gli uomini.
Ti ricorderemo sempre con affetto
Luciano Bonavia, Fraternità OFS “Concetta Bertoli” – Gorizia
Un vulcano d’amore per Dio
E qui, scusatemi, ma il mio pensiero non può non andare al nostro fra Aurelio, un vulcano d’amore per Dio, non si arrestava mai davanti a tutti i problemi che si trovava davanti, con dolcezza, costanza fortezza e dolcezza, un insieme che si spiega solo con l’amore per Dio.
Un ricordo: durante i nostri incontri tante volte mi sono trattenuto con Lui nei momenti precedenti la celebrazione: sono momenti in cui i cuori si aprono nell’attesa di salire l’altare del Signore, si parla di “problemi” vari e su “come” presentarli al Signore, su “come” cercare di ricreare quello “spirito apostolico” che mai si può spegnere nella Chiesa, e là il bello era che tutte le idee erano considerate buone e belle purché utili a “formare” quel cuor solo ed anima sola che ci accompagna, con continua cadenza, nel libro degli Atti. E me lo vedo ancora porre le sue mani sul piede del calice, trarlo a se, e, come guardando lontano, esprimere varie intenzioni da “mettere dentro quella coppa di salvezza” cercando, insieme, un momento di raccoglimento mentre in chiesa i nostri francescani secolari provavano il canto d’inizio….allora un sorriso si apriva sul suo volto e “cominciano, cominciano” sussurava con gioia e rinnovato entusiasmo. E qui possiamo, dobbiamo prometterlo: cominciamo SERIAMENTE, ad essere un cuore solo ed un’anima sola, ma non di facciata cominciamo a lavorare i nostri cuori, a fondo, rivoltandoli sotto sopra: è il tempo è il Tempo di Pasqua, è vita nuova in Cristo Gesù, risorto dai morti.
Vincenzo Sgubbi diacono, Fraternità OFS “Beata Vergine delle Grazie” – Trieste
Pace e bene a cuore pieno…
Pace e bene a cuore pieno… – un saluto imparato da fra Aurelio 🙂
Fraternità Regionale del Friuli-Venezia Giulia “Beato Odorico da Pordenone” 2020 – © RIPRODUZIONE RISERVATA