Cidìne, cidìne…
…anche l’ultimo spettacolo è finito.
Uno spettacolo alla cui realizzazione fra’ Aurelio Blasotti, biografo e vicepostulatore della causa di beatificazione della venerabile Concetta Bertoli, e la fraternità “San Giovanni Battista” di Latisana hanno dato anima e corpo per più di un anno.
Palazzolo dello Stella, Udine, Lignano Sabbiadoro… le tre tappe di questo mini tour che ha visto gremite la Chiese di Santo Stefano, la Chiesa della Madonna della Neve e la Chiesa di San Giovanni Bosco.
Protagonisti: fra’ Aurelio (testo e presentazione), Luisa Pestrin e Lucio Cepparo (lettori), Coro Polifonico Antonio Foraboschi di Palazzolo dello Stella (commento musicale), Annamaria Viciguerra (pianoforte) e Roberto De Nicolò (direttore).
Ma chi è Concetta Bertoli, a cui è dedicato questo mattutino?
Concetta, santa donna friulana, un vero dono di Dio offerto alla Chiesa e alla gente del Friuli del nostro tempo, troppo poco conosciuta nella sua terra, è nata a Mereto di Tomba il 14 aprile 1908, ultima dei 10 figli di papà Giuseppe e mamma Felicita.
Di questa figura ci racconta fra’ Aurelio in questo mattutino di luce che riesce a riempire le Chiese friulane in tre calde sere estive.
Dalla sua giovinezza spezzata al suo luminoso transito, fra’ Aurelio ci parla di Concetta che, rimasta orfana di madre a venti mesi, diventa ragazza dopo esser stata un’adolescente dedita alla casa e alla sua povera famiglia fatta di molte bocche e scarso pane per sfamarle. Eppure, con entusiasmo, si divideva tra le fatiche dei campi e le faccende di casa e, crescendo, si irrobustiva come il suo temperamento vivace e ricco di esuberanza. Ma, nella gioia promettente dei suoi sedici anni, nel Natale del 1924 un’improvvisa trafittura di dolore al piede le tolse per prima cosa l’agilità di camminare. “Passerà”. Ma a passare erano solo le settimane, i mesi. Arrivò il verdetto, qualche mese più tardi: artrite reumatoide, una patologia auto immune di cui non si conosce la causa e per la quale non esistono cure. Il processo infiammatorio a carico delle articolazioni, infatti, conduce inesorabilmente ad una loro progressiva erosione e deformazione, accompagnata da fortissimi dolori e conduce ad una severa invalidità. “Perché? Perché proprio a me? Non voglio! Non voglio!”
Alle domande di ribellione di Concetta possiamo rispondere con il silenzio e con il pianto. Gridiamo pure i nostri “perché” a Dio. Il dolore, infatti, non è mai piacevole, né la rassegnazione nasce per incanto. Il dolore non viene da Dio, appartiene alla nostra miseria. Maledire il dolore non lo cancella, lo rende doppiamente feroce. Ma il dolore non deve diventare il nostro padrone, bensì l’espressione eroica della nostra capacità di amare e generare vita. Questo non avviene di colpo, né è frutto di uno sforzo personale; avviene dopo tanti fallimenti ed esercizi, con l’aiuto di persone amiche che si uniscono alla nostra cordata per scalare la vetta del dolore, ossia dell’amore che si dona nella totalità di noi stessi,
Per Concetta era inconcepibile il pensiero di doversi adattare alla croce. Passarono ancora i giorni, passarono ancora i mesi. Pian piano comprese. La croce stessa, appesantendosi, le portò la luce.
Concetta chinò la testa e accettò. “Il male, senza la rassegnazione, è tremendo; ma se c’è la rassegnazione, non è niente.” Ma ce ne volle, per arrivare a questa rassegnazione! Molto le valsero la collaborazione della preghiera e il sostegno dei sacerdoti.
Il progresso della paralisi ha inchiodato, ormai, il corpo di Concetta che, per quattro anni, non poté ricevere la Comunione a causa delle mandibole serrate. Nel luglio del 1938 partì per Lourdes con l’Unitasi e due grazie chiese alla Madonna: saper accettare con piena rassegnazione le sue sofferenze e poter ricevere la Comunione. La seconda fu presto accordata e fu garanzia per la prima. Un sacerdote, accortosi di lei, estrasse la pisside dal tabernacolo, s’avvio alla sua barella, s’inginocchiò e, deposto un frammento di particola nell’acqua di un cucchiaio, l’accostò alle labbra e l’appoggiò sui denti dell’anchilosata. Concetta poté deglutire la particola, dopo averla assorbita attraverso gli angusti passaggi fra dente e dente. La sua gioia fu indescrivibile. La Madonna aveva esaudito la sua richiesta. Da quel giorno, anche nel suo paese una volta tornata a casa, ogni primo venerdì del mese ricevette la Comunione, fino alla morte.
Da questa intimità con Dio e della unione sempre più filiale con la Madonna, tenuta desta con la recita del rosario meditato, traevano alimento le virtù che di giorno in giorno si videro fiorire in lei. Concetta accettava tutto in silenzio e con paziente rassegnazione.
Pietro de Paulis, segretario comunale di Mereto, volle conoscere questa straordinaria creatura e di lei scrisse: “Vicino a lei si diventava più buoni; la sua parola era efficace più di una predica; il suo esempio di serena sopportazione era scuola di vita, di quella vita terrena che a Concetta non arrideva, ma che sapeva far amare agli altri con le prove che comporta.”
A 32 anni anni, il 7 agosto 1940, divenne Terziaria Francescana. In questo modo ella intendeva glorificare Dio con lo spirito di San Francesco, edificando tutti coloro che venivano a trovarla.
Il bene che non riusciva a fare con la parola, lo faceva attraverso la corrispondenza.
Concetta soleva dire: “Se non fossi stata ammalata, sarei diventata una grande peccatrice”! Ovviamente esagerava, era fondamentalmente buona, retta, amava la bellezza. Una delle sofferenze più grandi fu vedere il suo corpo deformato. Concetta fu anche una donna ferita nell’istinto suo più profondo, la bellezza. Di lei, chi l’ha potuta conoscere, descriveva il contrasto tremendo tra un animo pieno, esuberante di vita e un corpo minato, deformato, martoriato. Dio con lei è stato semplice e grande, le ha mantenuta intatta la naturale vitalità dell’animo perché con essa superasse e vincesse lo sfacelo del corpo. E il suo animo forte le permise di non disperarsi mai.
Alla vigilia del Natale del 1949, Concetta volle celebrare nella sua cameretta il 25° della sua malattia e chiese che in quel giorno le campane suonassero a festa. Nello stesso anno perdette un occhio, nel 1950 era completamente cieca. Ma il giorno che si sentì minacciata anche nella perdita dell’udito, la poverina, piangendo, supplicò, riacquistò e conservò l’udito fino alla morte.
Nel settembre del 1951 prese parte ad un pellegrinaggio a Loreto. Era cieca. Ma, conoscendo la condiscendente bontà della Madonna, chiese la grazia di poterla vedere e, all’altare dell’Annunziata, venne esaudita. Ai piedi della Immacolata di Lourdes e della Vergine nera di Loreto, aveva sentito rifluire una vena indimenticabile di vita mariana. Di Lei parlava facendo trasparire un senso di dolce e familiare tenerezza.
Mentre Concetta continuava a spargere tanto bene attorno a sé, si andava consumando senza mai rinunciare alla battuta scherzosa: “Quando morirò, i topi non avranno niente da mangiare!”
Dai “Non voglio!” del 1925 ai tanti “Sì” pronunciati, erano passati trentuno anni.
In vista del distacco, Concetta aveva messo da parte dei soldi, frutto della carità dei visitatori. Volle che fossero usati per confezionare un vestito bianco con fascia azzurra, che desiderava indossare dopo la morte a ricordo della bianca signora di Lourdes che le aveva dato il dono della rassegnazione diciotto anni prima. Da vera francescana volle ripeter un’usanza che hanno i frati prima di morire: l’esproprio di ogni cosa. Confortò i suoi familiari dicendo che c’erano la mamma, il papà e la Madonna ad aspettarla. Non mancò di fare le sue ultime raccomandazioni “Mi porterete in cimitero cidine, cidine…” e, affacciandosi alla finestra della sua camera, disse “Io andrò lassù, ma sono contenta perché vado dal Signore”.
Il 6 marzo 1956 Concetta ricevette l’ultima comunione. Sabato 10 marzo sembrava agonizzasse. Vennero recitate le preghiere per raccomandare la sua anima. Andava spegnendosi, adagio adagio, silenziosamente, come un lumicino. Morì la sera di domenica 11 marzo.
Ai funerali parteciparono tutti, la gente di Mereto e dei paesi vicini, sacerdoti, religiosi, popolo, gioventù di Azione Cattolica giunta anche da lontano. Appena volta in cielo, fu considerata come una protettrice e molti presero a invocarla. La lista delle grazie da lei ottenute si allunga di giorno in giorno. Non fu portata in cimitero come aveva chiesto: cidine, cidine…
Fu impossibile: la sua vita, vissuta cidine cidine, ebbe, ed ancora ha, un eco forte, troppo forte…
Silvia Scialandrone, Fraternità di Gorizia