25 ottobre 2015 – 50° anniversario di vita religiosa di fra’ Aurelio Blasotti
Ottobre ha dato una festa;
le foglie sono venute a centinaia.
Sorbi selvatici, querce, e aceri,
e foglie di ogni nome.
Il sole srotola un tappeto,
e ogni cosa è grande.
(George Cooper)
“Grandi cose ha fatto per me, il Signore!” così ha iniziato la sua omelia padre Aurelio Blasotti durante la Santa Messa per il 50° anniversario con la divisa da servo inutile. Era il 19 settembre 1965 quando padre Aurelio ha detto il suo “Sì” rispondendo alla chiamata del Signore che lo voleva frate cappuccino. E domenica 25 ottobre fra’ Aurelio ha voluto ringraziare il Signore per tutto ciò che ha fatto per lui ed attraverso di lui e ha chiesto la carità di usare verso di lui la virtù della misericordia.
Fra’ Aurelio parla con il cuore in mano ai suoi fratelli, ai francescani secolari ed a tutti fedeli che hanno riempito la Chiesa di Santa Maria Assunta “Se ho fatto delle cose buone, molte di più sono quelle di cui devo chiedere perdono.”
Lo ascolti e nei suoi occhi celesti vedi la più grande delle virtù: l’umiltà.
Lo ascolti e sul suo viso sofferente vedi i segni di 50 anni di vita vissuti non in solitudine ma con e per i fratelli.
Lo ascolti e nella sincerità delle sue parole vedi la povertà, la castità e l’obbedienza vissuti non da uomo santo ma da uomo consacrato che, attraverso i fratelli che il Signore gli ha donato, persegue la santità.
“Pregate per la mia perseveranza, perché solo chi persevererà fino alla fine sarà salvato.” chiede a tutti i presenti, padre Aurelio.
Lo ascolti e vorresti che tutte le persone conoscessero questo uomo: perché Aurelio, prima di essere frate, è un uomo.
Un uomo che non dimentica di ringraziare la donna che gli ha dato la vita: la sua mamma.
Un uomo che non dimentica di ringraziare le mamme di tutti i suoi fratelli perché “la loro è una maternità che, superando la carne e il sangue, crea legami spirituali di parentela indistruttibili.“
Un uomo che si spoglia del saio della santità con cui l’immaginario veste i sacerdoti e mostra la sua carne e il suo cuore di uomo peccatore, fragile che urla al Signore: “Misericordia!”
Si riconosce peccatore perdonato e chiede misericordia, senza mai smettere di usare a sua volta misericordia verso la miseria dei suoi simili.
Un uomo che era solo un ragazzo quando il Signore l’ha chiamato ad essere artefice dell’incontro tra ogni uomo e Gesù.
“Ecco chi sono i veri cristiani e i consacrati. Sono persone che vivono vicino a Gesù, che ascoltano e vivono la sua Parola di vita e non trattengono la misericordia ricevuta per sé, ma la trasmettono. Essi hanno il compito di chiamare l’uomo e di portarlo a Gesù. Questo vuol dire papa Francesco, quando sprona i religiosi a svegliare il mondo.” dice ancora fra’ Aurelio nella sua omelia semplice e sincera.
“Cosa vuoi che io faccia per te?” chiede Gesù al cieco che lo chiamava con disperata speranza, nel racconto del Vangelo di Marco. “ Che io ritorni a vedere.” rispose il cieco che, pur non vedendo il suo Salvatore, aveva sentito la sua presenza. Alcune persone sono di ostacolo alla realizzazione dell’incontro tra il cieco con Gesù. Scrive Marco, che molti rimproveravano il cieco, perché tacesse. Ma il grido dell’uomo arriva sempre al cuore di Dio, nonostante gli impedimenti di alcuni.
“Cosa vuoi che io faccia per te?” chiede Gesù ad ognuno di noi, oggi. Egli sa che nel cuore di ogni uomo c’è un anelito alla felicità e alla gioia piena e non si stanca di passargli accanto, continuamente. E vicino a Lui ci sono persone che sentono quel grido di dolore. “Ecco chi è il vero religioso: è chi, dopo aver incontrato la misericordia del Signore, usa a sua volta misericordia verso la miseria dei suoi simili. Si avvicina al suo prossimo e gli dice: «Coraggio! Alzati! Ti chiama!».” spiega fra’ Aurelio.
Fra’ Aurelio, il servo “inutile” che non aspetta una ricompensa, è felice di “servire” e solo questo gli basta. Lo guardi, lo ascolti e non puoi non sentirti amato da qual frate cappuccino che da 50 anni compie il miracolo di portare ogni fratello al Padre.
“Questo cieco guarito saprà a sua volta accogliere la miseria dei suoi fratelli, o sarà uno che vorrà tenersi tutto il bene per sé e li farà ancora zittire nel loro grido di dolore? La risposta a questa domanda il Vangelo oggi la affida a ciascuno di noi. “ conclude fra’ Aurelio.
“Una volta portato l’uomo a Gesù, il discepolo si ritira.”
Ed è così che, fra’ Aurelio, al termine della celebrazione, dopo esser andato incontro ai fratelli che vogliono stringerlo e ringraziarlo per il dono fatto a tutti loro pronunciando il suo “Sì” al Signore, se ne va, umilmente, come umilmente si è mostrato.
E noi, sappiamo a nostra volta infondere coraggio e speranza a questa nostra umanità assetata di vita, di pace e di bene?
E noi, sappiamo a nostra volta dire «Coraggio! Alzati! Ti chiama!»?
Imparare a vedere la perfezione invisibile agli occhi degli altri, quella unicità che rende tutti Amabili e degni di essere visti.
(Nicolàs Gòmez Devila)
Silvia Scialandrone, OFS Fraternità di Gorizia